Il Coaching: un’avventura da adulti
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“Coach”, in inglese, significa sia allenatore/insegnante che carrozza/vettura. La parola coaching, quindi, richiama sia il concetto di allenamento che quello di accompagnamento da un luogo di partenza ad un di arrivo.
Personalmente, preferisco pensare che un coach sia una persona in grado di portarti da un presente – che magari non ti piace – ad un futuro desiderato.
Nel coaching, grazie all’ascolto attivo e alla preparazione del coach:
- acquisisci uno sguardo nuovo e consapevole sui pensieri di tutti i giorni e sulle situazioni che affronti;
- sei sostenuto nel miglioramento delle tue prestazioni e nella risoluzione dei tuoi problemi;
- sei incoraggiato nell’evoluzione personale.
Devi, però, sapere che il coach non è un consulente con attitudini e posture da sofista, e nemmeno un formatore. Il suo ruolo non è quello di offrire al coachee soluzioni di facile portata o studiate su misura per la singola persona. Il coach attiva processi di consapevolezza e sé e delle proprie potenzialità, utili a vivere la realtà in modo funzionale, costruttivo ed realizzante.
Cosa cerca un coach durante le sessioni con il coachee?
Un coach ha il compito di traghettare il coachee in un viaggio avventuroso e sorprendente verso la dimensione più adulta della sua sfera interiore. È proprio lì che si incontra la verità più profonda su sé stessi, insieme alla chiave per entrare nella vita vera.
Non posso, a questo punto, non valorizzare e rafforzare quanto appena scritto illustrando sinteticamente la teoria psicologica dell’Analisi Transazionale di Eric Berne (1950), utile al coachee per inquadrare in maniera chiara la propria posizione relazionale nella realtà.
Rifacendoci alle posizioni relazionali di questa teoria, una relazione di coaching è efficace quando il coach, sia con se stesso che nei confronti del coachee, si pone nella modalità IO SONO OK (mi apprezzo, mi riconosco valore, mi sento adeguato, apprezzo me stesso così come sono) – TU SEI OK (ti apprezzo, ti riconosco valore, ritengo che sei adeguato, ti accetto così come sei).
Come è evidente, è questa la posizione più efficace nelle relazioni: le persone si sentono a loro agio, realizzate e valorizzate, e le domande che saranno presentate durante la sessione di coaching andranno ad accendere queste posture interiori.
È chiaro che un coach che si trovi in modalità IO NON SONO OK (verso se stesso o verso il coachee) non riuscirà a portare avanti il proprio lavoro.
Per poter affrontare l’IO NON SONO OK verso il coachee, un bravo coach dovrà invitare il cliente a rivolgersi ad un altro coach.
Per risolvere l’IO NON SONO OK verso se stesso, dovrà mettersi profondamente in discussione e decidere di cambiare qualcosa del suo carattere e della sua personalità, pena il dover abbandonare l’attività di coach.
Il vero Coach
Le domande di un coach preparato scovano l’adulto che si nasconde in ogni essere umano. Ed è proprio l’adulto, secondo la teoria di Berne, sollecitato ad uscire fuori dalle domande del coach, ad essere in grado di organizzare il proprio comportamento per ottenere i risultati voluti, senza essere sopraffatto dall’atteggiamento tipico dell’IO bambino – volto alla soluzione immediata dei problemi- o dall’istanza dell’IO genitore – che giudica e critica operato e contesto.
Quanto può aiutare l’utilizzo dell’IO adulto nella vita di tutti i giorni, è un tassello spesso mancante ma che una volta inserito nella proprio mondo interiore tira fuori la parte migliore delle persone.
La bella notizia? Nonostante si possa perdere questa condizione lungo il cammino, si può – in ogni momento – allenarsi per rientrarci, grazie al metodo del coaching.
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